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IL VERO AMICO 347


dare una mortal ferita, non mi obbligate a privarmi di quanto ho al mondo, per darvi la dote lasciatavi da vostra madre.

Rosaura. Se non mi volete dar la dote, dunque non mi parlate di maritarmi.

Ottavio. Bene, che non se ne parli mai più.

Rosaura. Ma il signor Lelio, con cui avete fatta la scrittura1?

Ottavio. Se vi vuol senza dote, bene; se no, stracceremo il contratto.

Rosaura. Sì sì, stracciamolo pure. (Questo è il mio desiderio). (da sè) Il signor Lelio non mi vorrà senza dote.

Ottavio. Ma possibile che non troviate un marito che vi sposi senza dote? Tante e tante hanno avuto una tal fortuna, e voi non l’avrete?

Rosaura. Orsù, io non mi curo di maritarmi.

Ottavio. Ma cara Rosaura, or ora non so più come fare a mantenervi.

Rosaura. Dunque mi converrà maritarmi.

Ottavio. Facciamolo: ma senza dote.

Rosaura. In Bologna non vi sarà nessuno che mi voglia.

Ottavio. Dimmi un poco, quel Veneziano mi pare un galantuomo.

Rosaura. Certamente il signor Florindo è un giovine assai proprio e civile.

Ottavio. Mi ha sempre regalato.

Rosaura. È generosissimo. Ha regalato anche Colombina.

Ottavio. Ha regalato anche Colombina?2 Bene, anderà in conto di suo salario. Se questo signor Florindo avesse dell’amore per te, mi pare che si potrebbe concludere senza la pidocchieria della dote.

Rosaura. (Ah, lo volesse il cielo!) (da sè)

Ottavio. Che bisogno ha egli di dote? È unico di sua casa, ricco, generoso. Oh! questo sarebbe il caso. Dimmi, Rosaura mia, lo piglieresti?

Rosaura. Ah! perchè no? Ma il signor Lelio?

  1. Pap.: scritta?
  2. Segue nell’ed. Pap.: «Quanto le ha dato? Ros. In più volte tre scudi. Ott. Bene, anderà ecc.».