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22 | ATTO PRIMO |
rati miei genitori, e sagrificare la mia fortuna alla mia onoratezza1. Ma giacchè ora son sola, voglio terminare di scrivere la lettera, che mandar destino a mio padre. Voglio farlo esser a parte, unitamente alla mia cara madre, delle mie contentezze: assicurarli che la fortuna non m’abbandona; che resto in casa, non ostante la morte della padrona; e che il mio caro padrone mi tratta con tanto amore, quanto faceva la di lui madre. Tutto ciò è già scritto; non ho d’aggiungere, se non che mando loro alcune ghinee, lasciatemi dalla mia padrona per sovvenire ai loro bisogni, (cava di lasca un foglio piegato e dal cassettino del tavolino il calamaio, e si pone a scrivere) Quanto vedrei volentieri i miei amorosissimi genitori! Almen mio padre venisse a vedermi. È un mese ch’ei mi lusinga di farlo, e ancora non lo vedo. Finalmente la distanza non è che di venti miglia.
SCENA III.
Milord Bonfil e detta.
Bonfil. (Cara Pamela! Scrive). (da sè, in distanza)
Pamela. Sì, sì, spero verrà. (scrivendo)
Bonfil. Pamela.
Pamela. (Si alza) Signore? (s’inchina)
Bonfil. A chi scrivi?
Pamela. Scrivo al mio genitore.
Bonfil. Lascia vedere.
Pamela. Signore... Io non so scrivere.
Bonfil. So che scrivi bene.
Pamela. Permettetemi... (vorrebbe ritirar la lettera)
Bonfil. No; voglio vedere.
Pamela. Voi siete il padrone. (gli dà la lettera)
Bonfil. (Legge piano.)
Pamela. (Oimè! Sentirà ch’io scrivo di lui. Anossisco in pensarlo). (da sè)
Bonfil. (Guarda Pamela leggendo, e ride.)
- ↑ Bett.: preziosa onestà.