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PAMELA 21

Jevre. Sospirate? Perchè?

Pamela. Il cielo dia al mio padrone tutto quello ch’egli desidera.

Jevre. Parlate di lui con una gran tenerezza.

Pamela. Come volete ch’io parli di uno che mi assicura della mia fortuna?

Jevre. Quand’egli vi nomina, lo fa sempre col labbro ridente.

Pamela. Ha il più bel cuore del mondo.

Jevre. E sapete ch’egli ha tutta la serietà, che si conviene a questa nostra nazione.

Pamela. Bella prerogativa è il parlar poco e bene.

Jevre. Pamela, trattenetevi, che ora torno. (si alza)

Pamela. Non mi lasciate lungamente senza di voi.

Jevre. Vedete, il fuso è pieno. Ne prendo un altro, e subito qui ritorno.

Pamela. Non vorrei che mi trovasse sola il padrone.

Jevre. Egli è un cavaliere onesto.

Pamela. Egli è uomo.

Jevre. Via, via, non vi date a pensar male. Ora torno.

Pamela. S’egli venisse, avvisatemi.

Jevre. Sì, lo farò. (M’entra un pensiero nel capo. Pamela parla troppo del suo padrone. Me ne saprò assicurare). (da sè, parte)

SCENA II.

Pamela sola.

Ora che non vi è madama Jevre, posso piangere liberamente. Ma queste lagrime ch’io spargo, sono tutte per la mia defunta padrona? Io mi vorrei lusingare di sì, ma il cuore tristarello mi suggerisce di no. Il mio padrone parla spesso di me; mi nomina col labbro ridente. Quando m’incontra con l’occhio, non lo ritira sì presto; m’ha dette delle parole ripiene di somma bontà. E che vogl’io lusingarmi perciò? Egli mi fa tutto questo per le amorose parole della sua cara madre. Sì, egli lo fa per questa sola ragione; che se altro a far ciò lo movesse, dovrei subito allontanarmi da questa casa, salvarmi fra le braccia degli ono-