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IL GIUOCATORE | 291 |
Florindo. Signor Pantalone, giacche avete avuta tanta bontà per me, vi prego di una grazia. Tenete questi trecento cinquanta zecchini, vi darò la nota di alcuni miei debiti, vi pregherò di pagarli, non mi date che quanto può bastarmi a vivere, poichè io certamente non voglio giuocar mai più.
Pantalone. (Se noi vol bezzi in te le man, se pol sperar ch’el diga dasseno de no zogar più). (da sè) Basta, i tegnirò per farve servizio.
Rosaura. (Florindo pare rassegnato). (da sè)
Gandolfa. Vedete se egli è un buon giovane? Venite qua, Florindo; alla presenza di mio fratello, datemi la mano.
Pantalone. Coss’è? Mia sorella deventa matta?
Florindo. Signora Gandolfa, da voi non voglio altro: mi era ridotto a sposarvi per una estrema disperazione. Ora che il cielo m’ha provveduto, e posso sperare col tempo di rimediare alle mie disgrazie, non voglio sagrificcire la mia gioventù ad un cadavere puzzolente.
Gandolfa. Che cos’è questo cadavere puzzolente? Io non puzzo nè punto, nè poco; ma credo che voi burliate, e so che mi volete bene.
Florindo. Vi rispetto, ma non vi amo. Siete vecchia, e non fate per me. Signor Pantalone, favorite darle cinquanta zecchini, che ella mi ha prestati.
Pantalone. Volentiera, ve li darò, siora, ve li darò. E no ve vergogne de sta etae...
SCENA ULTIMA.
Pancrazio e detti.
Pancrazio. Riverisco lor signori. Signora Gandolfa, sono fatte queste nozze?
Gandolfa. (Oh caro il mio vecchietto, non ho cuore d’abbandonarvi. Vi voglio troppo bene, e se mi volete, io sposerò voi). (piano a Pancrazio)