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IL GIUOCATORE 281

Brighella. La vada a casa, che la la troverà.

Pantalone. Ma disè...

Brighella. Servitor umilissimo.

Pantalone. Vegnì qua, respondème.

Brighella. La reverisso devotamente. (parte)

Pantalone. Vardè che sesti! Cussì el me impianta? Basta, se mia fia xe a casa, son contento. Poi esser che la se sia sconta1 per paura della pioggia; non ho gnancora podesto saver come che la sia. Quella alocca de mia sorella no xe bona da gnente. Mia fia no ghe la vôi più lassar. Vago subito a veder se posso rilevar...

SCENA XIV.

Lelio e detto.

Lelio. Di lei appunto, signor Pantalone, andavo in traccia.

Pantalone. Coss’è, patron? Gh’ala qualch’altro zogiello da far stimar?

Lelio. Voi avete fatto metter prigione il signor Tiburzio.

Pantalone. Sior sì; gh’èlo in cottego? Gh’ho piaser.

Lelio. Vi è pur troppo; i birri lo hanno preso in questo momento, e senz altro anderà in galera. Io per mia disgrazia sono stato in sua compagnia. Sono un uomo d’onore, e per sua cagione ho fatta una trista figura. Abbiamo giuocato a metà; abbiamo vinto al signor Florindo trecento cinquanta zecchini per uno. Tiburzio l’ha ingannato, ed io ora solamente ho saputo esser egli un giuocator di vantaggio, ed arrossisco per essermi accompagnato con lui. Egli proverà la pena, ed io provo il pentimento. In questa borsa vi sono li trecento cinquanta zecchini; a voi li ritorno, che siete per essere il suocero del signor Florindo, come poc’anzi solamente ho saputo. Spero che gradirete quest’atto di mia onestà, che contro di me non farete passo nessuno, e mi permetterete ch’io parta da questa città, dove non avrò coraggio di presentarmi mai più.

  1. Nascosta.