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IL GIUOCATORE | 277 |
nire due volte in un giorno a ritrovarvi al casino. Ci venni, sperando in voi un uomo onorato, uno sposo fedele, ma poichè siete un’anima scellerata, vi abbandono, v’odio; e assicuratevi che a voi più non penso. Mi avete stamane regalata una tabacchiera, tenetela, ch’io non voglio di voi memoria. (la getta in terra) Vergognatevi dei vostri inganni, arrossite delle vostre infedeltà, e imparate ad essere più onorato, se non volete terminare i giorni vostri con una sì grande infamia. Perfido, scellerato, impostore, vi odio quanto v’amai, e vi abborrirò fin che io viva. (parte)
Beatrice. (Ora che si è sfogata Rosaura, tocca a me a dirgli l’animo mio). (da sè)
Florindo. (Prende da terra la scatola.)
Beatrice. Dopo aver formata scrittura meco, avete ardire di promettere fede ad un’altra? Rispondetemi. Con qual faccia avete potuto farlo?
Florindo. (Questa scatola potrebbe essere la mia fortuna). (da sè, parte)
Beatrice. Indegno! Così mi lascia? Ma il rossor lo ha fatto partire. Non ha coraggio di sostenere i miei giusti rimproveri. Poco però m’importa. Già di lui io era oramai nauseata. L’amavo perchè era ricco, amavo l’onore di divenire sposa d’un uomo di conto, ma poichè il giuoco l’ha rovinato, poichè divenuto è miserabile, di lui non mi curo, ed incomincio da questo momento a figurarmi di non averlo mai conosciuto. (parte)
SCENA X.
Florindo, inseguito da Agapito.
Agapito. Voglio i miei denari.
Florindo. Son galantuomo, vi pagherò.
Agapito. Io non voglio aspettare. Quando perdo, pago; e quando vinco, voglio esser pagato.
Florindo. Datemi tempo sino a domani. Dentro le ventiquattro ore pagherò.