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276 ATTO SECONDO

Beatrice. Vendichiamoci dunque della sua infedeltà coll’abbandonarlo.

Rosaura. Per me non lo amerò più certamente.

Beatrice. Nè io sarò più sì debole per credere ad un mendace.

Rosaura. Eccolo ch’ei ritorna.

Beatrice. Batte i piedi e si morde le dita.

Rosaura. Il perfido avrà giuocato.

Beatrice. Se ha perduto i denari, ha perduto quanto aveva di buono.

Rosaura. Ritiriamoci, ed osserviamo che cosa sa fare. (si ritirano)

SCENA IX.

Florindo e le suddette, ritirate.

Florindo. Perchè non viene un fulmine a incenerirmi? Perchè non viene il carnefice a strozzarmi? Anche gli otto zecchini sono andati, e quel ch’è peggio, venti ne ho persi sulla parola: e questi come li pagherò?

Beatrice. Signor Florindo...

Florindo. Maledetta voi, per causa vostra ho giuocato, per causa vostra ho perduto.

Beatrice. Per causa mia?

Florindo. Sì, voi mi avete detto che giuocavano...

Rosaura. Povero signor Florindo, lo fanno giuocare per forza.

Florindo. (Oh diavolo!) Signora Rosaura, la vostra pioggia... Il gioielliere... oggi la porterà.

Rosaura. Non v’è bisogno che il gioielliere s’incomodi, poichè l’ha ricuperata mio padre. Ecco, signor Florindo, svelate tutte le vostre belle virtù. Mi avete promesso di non giuocare, e mi avete mantenuta esattamente la vostra parola; mi avete data la fede di sposo, senza ricordarvi dell’impegno che avete colla signora Beatrice. Mi avete carpita dalle mani una gioja, e l’avete sagrificata al vostro dilettissimo giuoco: siete un indegno, siete un perfido, un mancatore. Confesso avervi amato, e l’amor mio pur troppo mi ha fatto far dei passi falsi, sino a ve-