Pagina:Goldoni - Opere complete, Venezia 1909, V.djvu/277


IL GIUOCATORE 263

Florindo. Benissimo. (Oggi sono più fortunato a mettere, che a tagliare). (àa sè)

Lelio. Facciamo portar le carte.

Florindo. Dopo pranzo in questa camera ci si vede poco; andiamo in quell’altra.

Lelio. Sì, dove volete.

Tiburzio. Io vi servo per tutto.

Florindo. Andiamo.

SCENA XX.

Brighella e detti.

Florindo. Preparateci da giuocare in quell’altra camera. (a Brighella)

Brighella. La favorissa una parola. (a Florindo)

Florindo. Che cosa c’è?

Brighella. (L’è qua un’altra volta siora Rosaura in maschera). (piano a Florindo)

Florindo. (Per amor del cielo, ditele che vada via).

Brighella. (Ghe l’ho dito, ma ella tutta lagreme la protesta averghe da dir una cossa de somma premura, che decide del so amor, del so onor e della so vita).

Florindo. (Che diavolo sarà mai! Io non vorrei presso di questa gente dar sospetto. Fate una cosa, introducetela nella vostra camera, e ditele che aspetti un poco, che or ora verrò. Intanto procurerò che gli amici vadano nell’altra camera).

Brighella. (Sia maledetto el diavolo! Ho rabbia a trovarme in sta sorte d’imbroi). (da sè, parie)

Lelio. Signor Florindo, il tempo passa; volete che andiamo?

Florindo. Andate innanzi, che ha poco verrò.

Tiburzio. Se non venite voi, non andiamo.

Florindo. Principiate a giuocar voi due, già io non taglio.

Tiburzio. A solo a solo io non giuoco.

Florindo. Lasciatemi in libertà mezz’ora, ho una cosa da fare.

Lelio. Facciamo quattro tagli, e poi ce ne andiamo.

Tiburzio. Se non volete giuocar voi, io vado in un altro casino.