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238 ATTO SECONDO

Florindo. Non vi ricordate di quello che l’altro giorno ha gettata la parrucca fuori della finestra?

Brighella. Oh, quello el ghe n’ha fatte de belle. Un zorno l’ha taià un otto in bocconcini, e el l’ha bevudo in t’una chiccara da caffè.

Florindo. Io voglio bere il sette.

Brighella. Mi ghe dago un conseio, da so bon servitor. La lassa star de zogar.

Florindo. Se posso rifarmi de’ miei zecchini, non giuoco mai più.

Brighella. Dusento ghe n’ho dà, onde no ghe ne resta altro che tresento.

Florindo. E li ho in questa borsa per rifarmi.

Brighella. Diseva ben quel padre: no me despiase che mio fio abbia perso, ma me despiase che el se vorrà refar.

Florindo. Per ora non penso al giuoco. Penso a riconciliarmi col signor Pantalone, a giustificarmi colla mia cara Rosaura.

Brighella. Quel che è più difficile, l’è placar el sior Pantalon.

Florindo. Se potessi parlar alla signora Gandolfa, zia di Rosaura, spererei col suo mezzo di accomodarla. Ella mi vuol bene e vuol bene a Rosaura ancora, e sopra l’animo di suo fratello potrà più d’ogni altro.

Brighella. Qua no gh’è altro che provarse d’andar in casa.

Florindo. E se vi è il signor Pantalone?

Brighella. Se informeremo, e se el gh’è, volteremo bordo.

Florindo. E se viene, e mi trova?

Brighella. Co siora Gandolfa dise dasseno, l’aggiusterà tutto.

Florindo. Via, proviamo d’entrare in casa.

Brighella. La lassa far a mi, batterò, e procurerò de veder Colombina.

Florindo. Caro Brighella, a voi mi raccomando.

Brighella. Vado subito.

Florindo. Dite, dite, come staremo di vino a pranzo?

Brighella. A pasto ghe darò del Padoan prezioso, e po ghe sarà del vin marzemin, del vin de Cipro, e una bottiglia de Canarie.