Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
230 | ATTO PRIMO |
SCENA XV.
Florindo solo.
Oh maledettissimo incontro! Come diavolo andò la faccenda? Frattanto ch’io dormiva, è partita Rosaura ed è venuta Beatrice? Oppresso dal sonno non l’ho riconosciuta; e poi quella veste nera e quel zendale mi ha fatto travedere. Me infelice! Che sarà mai! Piuttosto che ritrovarmi in un caso tale, vorrei aver persi tutti i denari al giuoco. Presto, convien rimediarvi. Andrò a ritrovar qualche amico. Farò parlare al signor Pantalone. Procurerò vedere la signora Rosaura; le scriverò una lettera, l’avviserò di tutto. Beatrice me la pagherà. Non doveva mai farmi quest’azione. Ma quello che si ha da fare, convien farlo presto. Subito, immediatamente, non voglio perdere un momento di tempo.
SCENA XVI.
Lelio, Tiburzio e detto.
Lelio. Amico, vi sono schiavo.
Florindo. Padroni, vi riverisco.
Lelio. Mi rallegro con voi.
Florindo. Di che?
Lelio. Dei cinquecento zecchini.
Florindo. Eh bagattelle! Dite, avete saputo di quel maledetto sette?
Lelio. Sì, l’ho saputo; gran disgrazia!
Florindo. Son veramente sfortunato.
Lelio. Ehi, vedete quel signore? (a Florindo, accennando Tiburzio)
Florindo. (Chi è?)
Lelio. (Un cavalier forastiere. Un gran giuocatore).
Florindo. (Ha denari?)
Lelio. (Ha una borsa con quattro o cinquecento zecchini).
Florindo. (Mi dispiace che ora non posso; ho un affar di premura).
Lelio. (Se perdete questa occasione, non vi capita mai più la vostra fortuna).