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IL GIUOCATORE 227


magnoni, negligenti, malinconici, malsani, e finalmente distruttori delle so casa e traditori de se stessi, del proprio sangue e della propria fameggia.

Florindo. Signor Pantalone, voi mi avete atterrito. Voi mi avete posto dinanzi agli occhi uno specchio, in cui vedo chiaramente lo stato miserabile del giuocatore. Vi protesto di non giuocar mai più; ora vi consegno li cinquecento zecchini, e non giuoco certamente mai più.

Pantalone. Voggia el cielo che el diga la verità. Se el lo farà, sarà meggio per elo.

Florindo. Mi preme infinitamente la vostra buona grazia e quella della mia cara sposa.

Pantalone. A proposito della sposa. Sior Florindo caro, vegnimo a un altro tomo. Se promesso con mia fia, disè de volerghe ben, la ve preme, e po tendè a delle frasche? Ve devertì colle donne al casin? Me maraveggio dei fatti vostri. Zogo e donne? Do bone prerogative per un putto che se vol maridar. El zogo xe mal, eppur me vorria lusingar, che volendo ben a mia fia, per amor lo lassessi, ma co gh’avè pratiche, a mia fia no ghe volè ben. Sè un busiaro, sè un cabalon, sè un omo scavezzo1 che no farà mai ben, e mi ve digo a averta ciera, che mia fia no xe più per vu.

Florindo. Ah signor Pantalone, voi mi avete in cattivo concetto, eppure non sono qual vi credete.

Pantalone. Cossa me vorressi dar da intender? Non ho visto mi coi mi occhi a sconder una donna in quella camera? Neghemelo, se podè.

Florindo. Non lo posso negare.

Pantalone. Donca sè un discolo, un cabalon.

Florindo. Se sapeste chi è quella maschera, non direste così.

Pantalone. Via, chi xela?

Florindo. Non lo posso dire.

Pantalone. Perchè sè un busiaro.

  1. Scapestrato: v. Boerio.