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220 | ATTO PRIMO |
povere noi! Oh sì, che si metterebbero gli uomini in una maledetta superbia.
Florindo. Signora Rosaura, io vi ringrazio infinitamente della bontà che avete per me, ma come avete fatto a uscir di casa a quest’ora?
Rosaura. Ho detto a mia zia, che andar voleva a visitare stamane una sua figliuola1 maritata, ed ella mi ha data la permissione di uscire, e di andar a mio beli’agio con Colombina.
Colombina. Signor sì, sotto la custodia mia. Di me si possono fidare, perchè sanno che donna prudente ch’io sono.
Rosaura. Mia zia mi vuol bene, e sapete che vuol bene anche a voi. Ella ha penato in questi tre giorni, egualmente che io. Vi nomina a ogni momento, e mi fa piangere sempre più.
Florindo. Povera signora Gandolfa! È una vecchia di buon cuore.
Colombina. Io credo sia innamorata di voi, più di sua nipote.
Florindo. Fatemi la finezza d’accomodarvi. (siedono)
Rosaura. Crudele! Star tre giorni senza venirmi a vedere!
Florindo. Credetemi, non ho2 potuto venire.
Rosaura. Ma per che causa?
Florindo. Gli affari miei me lo hanno impedito.
Rosaura. Caro signor Florindo, possibile che non vogliate lasciar il giuoco?
Florindo. Oh, l’ho lasciato, non giuoco più.
Rosaura. Mi è stato detto che tutta la scorsa notte avete giuocato.
Florindo. Ah! È stato un impegno. Ma sentite, ho guadagnato cinquecento zecchini; ma zitto, che nol sappia nessuno.
Colombina. Capperi! cinquecento zecchini?
Rosaura. Godo della vostra fortuna, ma non vorrei che giuocaste più.
Florindo. Oh, certamente non giuoco più.
Colombina. Orsù, la mia padrona è venuta qui per bere la cioccolata.
Rosaura. Oh, non badate...
Florindo. Sì, volentieri, subito. Ehi... (chiama)