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NOTA STORICA

«Si vide la presente Commedia per la prima volta la sera del di 11 Decembre 1750 ed m seguito fu replicata sei sere. Fu applaudita moltissimo anche in altre Piazze. Il virtuosissimo Autore gloria ed onore ben grande ne ritrasse per tutto». Così un’avvertenza nel t. VI dell’ed. Bettinelli. Ma il Goldoni ricorda (Mém., II, ch. 9Memorie di Carlo Goldoni) che piacque di più l’anno dopo, chetato lo strepitoso trionfo della Pamela.

Anche questa volta l’autore non si propose di correggere qualche vizio, o di deridere un difetto morale, come insegnavano le leggi dell’antica commedia, bensì di mostrare il modello d’un uomo da imitarsi. Ottavio ci vuol rappresentare infatti il cavaliere di buon gusto e di buon senso: «tavola, servitù, trattamento, conversazioni, protezioni, corrispondenze, buona filosofia, sano divertimento, prontezza di spirito, ragionamenti fondati, barzellette graziose, inclinazione per le lettere, amor delle belle arti, pulizia esterna ed interna sincerità» (v. l’Aut. a chi legge e inoltre la lettera di dedica). Ma nell’eseguire il ritratto, più cose dimenticò o tralasciò il Goldoni, per cui restiamo delusi.

Nella classe nobile del secolo decimottavo in Italia noi riconosciamo più distintamente tre tipi: il giovin signore del Parini, il gentiluomo erudito (Maffei, Conti, Poleni, Algarotti, Gozzi, Carli, Roberti e cent’altri nella Serenissima) e il patrizio dedito alle cure pubbliche (ambasciatori, senatori, ministri ecc.). Nessuno di costoro è il cavaliere Ottavio, sebbene il carattere della mondanità, in lui di gran lunga prevalente, si ritrovi più o meno in tutti quanti. L’autore si accontentò di dipingere una specie di cortesan dell’ordine gentilizio, uomo maturo, avveduto, esperto, troppo infallibile, vivace, arguto, prodigo, che sorride alla vita con l’abbandono del Settecento, che non si offende come il rustego del pettegolezzo femminile, che attraversa la società come un conquistatore e non si lascia conquistare, che si ride di tanti pregiudizi, che si sente a suo agio in quel periodo di lenta trasformazione sociale, precedente alla Rivoluzione. Meglio di Momolo è questo l’uomo di mondo, l’ideale del gentiluomo secondo i desideri di Carlo Goldoni, educati dal padre suo Giulio fin dall’infanzia. Non ci avviene nelle Memorie d’incontrare qualche Ottavio?

Certo non sempre è vivo come nell’ultima scena del primo atto, quando lusinga le voglie della vedovella «di mezza età» e la vanità della Marchesina, spargendo gelosie fra zia e nipote: scena ricca di quella psicologia che par così facile a chi è ignaro dell’arte semplice e grande. Pur troppo qualche volta questo tiranno dei cuori, davanti al quale si precipitano per forza irresistibile le donne, e quasi quasi gli uomini, e cessano perfino le liti tra futura suocera e nuora, ci desta un risolino come se leggessimo un vecchio romanzo di Girolamo Brusoni, e si confonde per un momento col cavaliere Glisomiro del Carrozzino alla moda. - Ma eccolo poi che fa la lezione di vita pratica al nipote uscito appena di collegio, col capo ancora confuso di filosofia peripatetica. «Filosofia da ragazzi», grida Ottavio: «Quella degli uomini ve la insegnerò io». (A. II, sc. 4) Ha ragione donna Eleonora, la vedova di «mezza età», di esclamare poco più lungi: «Sotto uno zio di questa sorta non può che riuscire perfettamente». Tutto ciò è ben nuovo sul teatro, personaggi, situazioni, moralità: nuovo nell’arte nostra letteraria.