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186 | ATTO TERZO |
non disdice ad un cavaliere, ma per ragione dei pregiudizi degli uomini, mi è convenuto trattarla segretamente. Dame mie riverite, vi chiedo perdono della graziosa burla che ho preteso di farvi. Non crediate già ch’io l’abbia fatto per mancanza di stima e di rispetto verso di voi, ma per rendere ameno il vostro divertimento. Io non vo’ moglie. Tratterò tutte egualmente; converserò con chi mi vorrà ammettere alla sua conversazione; ma in avvenire mi guarderò molto bene da dir parole che possano lusingare, mentre ho veduto per esperienza, quanto male possano produrre gli scherzi che si dicono nelle conversazioni.
Clarice. Io per me ho sempre riso delle vostre parole; le ho sempre prese per barzellette, e mi maravigliava di donna Eleonora, che si lusingava che parlaste per lei.
Eleonora. Io? Mi maraviglio di voi. Credete ch’io non conosca il conte Ottavio? Egli è avvezzo a burlare, ed io lo secondava per vedere la bella scena.
Ottavio. Lode al cielo, avendo queste dame perfettamente inteso ch’io scherzava, non ho verun rimorso d’aver loro recata alcuna lusinga. Signora cognata, siete anche voi disingannata ch’io sia la rovina di questa casa, ch’io abbia dilapidato il patrimonio di vostro figlio?
Beatrice. Caro cognato, vi chiedo scusa de’ miei cattivi giudizi, e raccomando a voi l’economia della casa.
Ottavio. Se altri vi sono che pensino come voi, ora resteranno della mia puntualità persuasi.
Lelio. Chi mai volete che pensi sinistramente di voi?
Dottore. Corpo di bacco! Io non posso tacere. Queste facce doppie non le posso soffrire. Sì, voglio parlare. Il signor Lelio è stato il primo a dire che il signor conte Ottavio fa di più di quello che far potrebbe, che è pieno di debiti e che anderà in rovina1.
- ↑ Bell.: Corp del diavel, an pass laseir. Sti muslazz da do fazz an ai pass veder. A vui parlar. El sgnor cont Lelio l’è stà al prem a dir ch’el cont Ottavio fa più d’quel che al pol, ch’l’è pen de debit e che l’anderà in arveina.