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184 | ATTO TERZO |
Rosaura. Conte Ottavio, non posso rispondere alle vostre insinuazioni che coll’accettarle. Bacio la mano alla contessa Beatrice, che si degna di accettarmi per figlia. Giuro la mia fede al contino Florindo, e a voi, amorosissimo zio, rendo le più umili grazie, poichè mi ammettete all’onore di essere imparentata con voi.
Beatrice. Marchesina, non so che dire. Se il cielo ha destinato un tal matrimonio, è giusto che si faccia. Se amerete mio figlio, io amerò voi egualmente. (Ho detto di sì, senza avvedermi di dirlo). (da sè)
Rosaura. (Il complimento è curioso, ma non importa). (da sè)
Florindo. Amatissima sposa, vi accetto del più perfetto amor mio, e per assicurarvi della mia fede, vi giuro che non saprò mai distaccarmi dal vostro fianco.
Rosaura. (Troppe grazie). (da sè)
Eleonora. Nipote, mi rallegro con voi. Sarete contenta.
Rosaura. Credo che non anderà molto, che anch’io dovrò rallegrarmi con voi.
Eleonora. Chi sa? Può anch’esser1 di sì: conte Ottavio, vi ricordate del vostro impegno?
Ottavio. Di qual impegno, signora?
Eleonora. Avete promesso manifestare la vostra sposa.
Clarice. Sì appunto. Levateci questa curiosità.
Ottavio. Son galantuomo. Ho promesso, manterrò la parola.
Rosaura. Anche il signor Conte è sposo.
Ottavio. Sì, signora.
Rosaura. Due spose in una casa?
Ottavio. La mia sposa non vi darà fastidio.
Beatrice. Anch’essa vorrà il trattamento da dama, e qualunque ella siasi, compatitemi, signor cognato, è un’imprudenza il farlo.
Ottavio. È un’imprudenza?
Beatrice. Ma voi siete uno stolido? Non parlate? Non dite nulla? (a Florindo)
Ottavio. Via, dite anche voi la vostra ragione. (a Florindo)
- ↑ Bett.: anche darsi.