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132 ATTO PRIMO


di non capire, per goder meglio la scena. Mi vogliono bene? Maledette! Se arrivassero a innamorarmi, povero me!

Pantalone. Ma perchè donca le trattela?

Ottavio. Con qualcuno si ha da conversare. Poco più, poco meno, tutti al mondo vivono d’impostura; e chi è di buon gusto, dissimula quando occorre, gode quando può, crede quel che vuole, ride de’ pazzi, e si figura un mondo a suo gusto.

Pantalone. Vorla che ghe diga, che me piase assae sto modo de pensar.

Ottavio. Signor Pantalone, avete nulla da comandarmi?

Pantalone. Gnente, ghe levo l’incomodo.

Ottavio. Via; approfittiamo del tempo, che è cosa preziosa. Voi lo potrete impiegar bene co’ vostri traffichi: io non lo getto inutilmente. Lo distribuisco all’economia della casa, allo studio, al carteggio, alla lettura de’ buoni libri, al maneggio di qualche affare serioso, alla tavola, alla conversazione, e qualche volta a far un poco all’amore.

Pantalone. Donca la fa l’amor?

Ottavio. Sì; io fo all’amore, come il gatto fa all’amore colla bragiuola1, che sta cocendosi sulla gratella: la guarda, ma non la tocca.

Pantalone. Oh, che caro sior Conte...

Ottavio. Chi è di là?

SCENA VIII.

Il Cameriere e detti.

Ottavio. Servite il signor Pantalone. (al cameriere)

Pantalone. Ghe fazzo umilissima reverenza.

Ottavio. State sano.

Pantalone. (Co vegno qua, no andarave mai via. El gh’ha un descorso che incanta). (da sè) Bondì a vussustrissima. (parte, accompagnato fino alla porta dal cameriere)

  1. Nell’ed. Bett. segue: che sia cocendosi sulla graticola. Allungo una mano, ma ho timor di scottarmi. Guardo qua e là se nessuno mi vede, poi do una addentata, e fuggo.