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L'AUTORE

A CHI LEGGE.


I
L mio Cavalier di buon gusto ha bisogno di una giustificazione, che da me gli è dovuta; in grazia principalmente di quelli che che credono non convenire a chi è nato nobile la mercatura1. M’hanno alcuni, di cotal genere, rimproverato aver io fatto mercanteggiare il mio Cavaliere senza necessità, poichè soltanto ch’io lo facessi essere un po’ più ricco, potrebbe far valere il buon gusto, senza mendicare i suffragi da una Società di Negozio.

Risponderò in primo luogo, essere una malinconia da curarsi lo scrupolo che la Mercatura tolga qualche fregio alla Nobiltà. Non voglio io formare una Dissertazione per provarlo; bastandomi soltanto poter addurre di questa verità gli esempj. Veggiamo noi ne’ Paesi Oltramontani non solo, ed Oltremarini, ma nell’Italia nostra ancora, Persone illustri, di antichissima Nobiltà, di Ordini purgatissimi insignite, di titoli, di onori, di dignità fregiate, tener banchi aperti, negozj vivi, ragioni ne’ loro nomi, firmar lettere, agire, negoziare in fine, senza un minimo pregiudizio della venerabile Nobiltà, per la ragione medesima che non si offende vendendo e comperando vino, grano, cavalli e cose simili, le quali non differiscono che nella specie, e nel nome, e nella opinione, dal panno, dalla seta e da altre simili merci. I Principi stessi, non solo hanno dichiarata nobile la Mercatura con privilegi, diplomi, editti; non solo hanno decorato di cariche e di fregj illustri i Nobili Mercatanti, ma interessandosi ne’ principali Negozi, hanno altrui insegnato essere onesta e lodevol cosa mantenere col proprio denaro l’abbondanza nello Stato, il cambio de’ propri generi cogli stranieri, l’impiego de’ poveri e l’utilissimo commercio delle Città, delle Provincie e del Mondo.

  1. Nell’ed. Paperini (t. III, 1753), dove la prima volta fu stampata quest’avvertenza, si legge: che credono a chi è nato nobile la Mercatura disconvenire.