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94 ATTO TERZO


Pamela. Signore, vi prego1 per carità, lasciatemi ritirare per un momento. Non mi assalite tutt’ad un tratto con tante gioie, ognuna delle quali avrebbe forza di farmi morire.

Bonfil. Sì, bell’idolo mio, prendete fiato. Ritiratevi pure nel mio appartamento.

Pamela. Padre, non mi abbandonate. (parte)

Andreuve. Eccomi, cara figlia, sono con te. Signore, permettetemi...

Bonfil. Sì, consolatela, disponetela a non mirarmi più con timore.

Andreuve. Eh Milord, farete più voi con due parole, di quello possa far io con cento. (parte)

Bonfil. Ah, che la virtù di Pamela dovea farmi avvertito, che abbietto il di lei sangue non fosse!

SCENA XII.

Isacco, poi milord Artur e detto.

Isacco. Signore. Milord Artur. (Isacco parte)

Bonfil. Venga. Che belle massime! Che nobili sentimenti! Oh me felice! Oh fortunato amor mio! Deh, caro amico, venite a parte delle mie contentezze. (ad Artur)

Artur. Fate che io le sappia, per potermene rallegrare.

Bonfil. Fra poco voi mi vedrete sposar Pamela.

Artur. Vi riverisco. (vuol partire)

Bonfil. Fermatevi.

Artur. Voi vi prendete spasso di me.

Bonfil. Ah, caro amico, ascoltatemi. Io son l’uomo più felice di questa terra. Ho scoperto un arcano, che m’ha data la vita. Pamela è figlia d’un cavaliere di Scozia.

Artur. Non vi lasciate adulare dalla passione.

Bonfil. Non è possibile. Il padre suo a me si scoprì, ed eccone gli attestati autenticati da due lettere di vostro padre. (gli fa vedere le carte)

Artur. Come! Il conte d’Auspingh?

  1. Bett.: ve lo domando.