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82 ATTO TERZO

SCENA ULTIMA.

Brighella, Arlecchino e detti.

Arlecchino. E cussì, per tornar al nostro proposito, Colombina, damme la man.

Brighella. Colombina no farà sto torto a Brighella.

Lelio. Signor Orazio, ecco appunto come termina il mio soggetto, che voi non avete voluto sentire. (Cava i foglietti e legge) Florindo sposa Rosaura, Arlecchino Colombina; e coi matrimoni termina la commedia.

Orazio. Siete veramente spiritoso.

Lelio. Anzi vi dirò di più...

Gianni. Sior Orazio, gh’è altro da provar?

Orazio. Per ora basta così.

Gianni. La podeva aver anca la bontà de sparagnarme sta gran fadiga. (si cava la maschera)

Orazio. Perchè?

Gianni. Perchè sta sorte de scene le fazzo co dormo.

Orazio. Non dite così, signor Arlecchino, non dite così. Anche nelle piccole scene si distingue l’uomo di garbo. Le cose quando son fatte, quando son dette con grazia, compariscono il doppio, e quanto le scene sono più brevi, tanto piacciono più. L’Arlecchino deve parlar poco, ma a tempo. Deve dire la sua botta frizzante, e non stiracchiata. Stroppiar qualche parola naturalmente, ma non stroppiarle tutte; e guardarsi da quelle stroppiature, che sono comuni a tutti i secondi zanni. Bisogna crear qualche cosa del suo, e per creare bisogna studiare.

Gianni. La me perdona, che se polcrear anca senza studiar.

Orazio. Ma come?

Gianni. Far come ho fatto mi; maridarse e far nascer dei fioi. (parte)

Orazio. Questa non è stata cattiva.

Placida. Se non si prova altro, anderò via ancor io.

Orazio. Ora anderemo tutti.