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70 | ATTO TERZO |
Orazio. Vi accetto con ogni soddisfazione.
Lelio. Quand’è così, son contento. Attenderò a recitare, e lascierò l’umor del comporre; giacchè, per quel che sento, sono tanti i precetti d’una commedia, quante sono, per così dire, le parole che la compongono. (parte)
SCENA III.
Orazio, poi Eleonora.
Orazio. Questo giovine ha del brio. Pare un poco girellaio, come dicono i Fiorentini, ma per la scena vi vuole sempre uno, a cui adattar si possano i caratteri più brillanti.
Eleonora. Serva, signor Orazio.
Orazio. Riverisco la signora virtuosa.
Eleonora. Non mi mortificate d’avvantaggio. So benissimo che con poco garbo mi sono a voi presentata, che aveva necessità di soccorso, ma l’aria musicale influisce così; il contegno, l’affabilità, la modestia delle vostre donne ha fatto ch’io mi sono innamorata di loro, e di tutti voi. Vedesi veramente smentita la massima di chi crede che le femmine di teatro siano poco ben costumate, e traggano il lor guadagno parte dalla scena e parte dalla casa.
Orazio. Per nostra consolazione, non solo è sbandito qualunque reo costume nelle persone, ma ogni scandalo dalla scena. Più non si sentono parole oscene, equivoci sporchi, dialoghi disonesti. Più non si vedono lazzi pericolosi, gesti scorretti, scene lubriche, di mal esempio. Vi possono andar le fanciulle senza timor d’apprendere cose immodeste o maliziose.
Eleonora. Orsù, io voglio esser comica, e mi raccomando alla vostra assistenza.
Orazio. Raccomandatevi a voi medesima; che vale a dire, studiate, osservate gli altri, imparate bene le parti, e sopra tutto, se vi sentite fare un poco di applauso, non v’insuperbite, e non vi date subito a credere di essere una gran donna. Se sentite a battere le mani, non ve ne fidate. Un tale applauso