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62 | ATTO SECONDO |
Eugenio. E noi altri comici rispondiamo così. (parte)
Eleonora. Sia maledetto quando son qui venuta.
Petronio. Certo che ha fatto male a venir a sporcare i virtuosi suoi piedi sulle tavole della commedia.
Eleonora. Voi chi siete?
Petronio. Il Dottor per servirla.
Eleonora. Dottor di commedia.
Petronio. Com’ella virtuosa di teatro.
Eleonora. Che vuol dire: dottore senza dottrina.
Petronio. Che vuol dire: virtuosa senza saper nè leggere, nè scrivere. (parte)
Eleonora. Ma questo è troppo; se qui resto, ci va della mia riputazione. Staffiere, voglio andar via.
Anselmo. Siora virtuosa, se la volesse restar servida a magnar i risi coi commedianti, l’è padrona.
Eleonora. Oh, voi siete un uomo proprio e civile.
Anselmo. Mi no son padron de casa, ma el capo de compagnia l’è tanto mio amigo, che se ghe la condurrò, so che el la vederà volentiera.
Eleonora. Ma le donne mi perderanno il rispetto.
Anselmo. Basta che la se contegna con prudenza, e la vederà che tutte le ghe farà ciera.
Eleonora. Andate, ditelo al capo di compagnia, e s’egli m’invita, può essere che mi lasci indurre a venire.
Anselmo. Vado subito. (Ho inteso. La musica de sta padrona l’è compagna della poesia del sior Lelio. Fame tanta, che fa paura). (da sè, parte)
Lelio. Signora Eleonora, a me, che sono vostro conóscente e amico, potete parlare con libertà. Come vanno le cose vostre?
Eleonora. Male assai. L’impresario dell’opera, in cui io recitava, è fallito; ho perduto la paga, ho dovuto far il viaggio a mie spese; e, per dirvi tutto, non ho altro che quello che mi vedete intorno.
Lelio. Anch’io, signora mia, sono nello stesso caso, e se volete prendere il partito che ho preso io, starete bene ancor voi.