Pagina:Goldoni - Opere complete, Venezia 1909, IV.djvu/632

618 ATTO TERZO

Rosaura. Del mai, del sempre il senso questo fu,

     D’amarlo sempre, e non compor mai più. (parte)

Ottavio. Oh cara! Oh che versi! E dovrò perderla? E non la sentirò più comporre? Moglie mia, voi resterete vedova.

Beatrice. Il cielo lo faccia presto.

Menico. In fatti no ghe xe piacer al mondo

     Mazor de quel d’un matrimonio in pase.
     L’omo colla muggier vive giocondo,
     Quando la cara compagnia ghe piase.
     Ma po el deventa tristo e furibondo,
     Se el trova una de quelle che no tase.
     Ghe ne xe tante, che gh’ha un vizio brutto,
     Che le vol contradir e saver tutto.
Tonino. Anca mi lodo certo sora tutto,
     El benedetto e caro matrimonio,
     Ma presto ogni contento vien destrutto,
     Quando de gelosia gh’intra el demonio.
     O che bisogna che il mario sia mutto,
     O che el ghe trova più d’un testimonio;
     E quando che cussì nol pol placarla,
     Bisogna che el se sforza a bastonarla.

Ottavio. Cari amici o compastori, voi mi consolate della perdita dolorosa che ho fatto. Staremo qui fra di noi. Cintia Sirena non ci abbandonerà.

Eleonora. Perdonatemi. Fino che vi era fra gli accademici vostra figlia, io pure poteva starci. Ora una donna sola non istà bene; onde me ne vado ancor io, e non mi vedrete mai più; prendete la vostra patente.

Ottavio. Vi è mia moglie.

Beatrice. Io non sono poetessa.

Eleonora. Sentite? Ella non è poetessa, ma il signor Tonino la farà diventare.

Presto si riempirà d’un nuovo estro,

Sotto l’abilità d’un tal maestro. (parte)