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608 ATTO TERZO

Ottavio. Eh via, che sono i sogni della notte

Immagini del dì guaste e corrotte.

Animo, animo, a scrivere, a comporre

Rosaura. Non comporrò mai più certamente.

Ottavio. Mai più?

Rosaura. Mai più.

Ottavio. Rosaura, io mi vado a gettare in un pozzo.

Rosaura. Finalmente, che gran male sarà s’io tralascio di comporre?

Ottavio. Che male sarà? La morte di tuo padre, la rovina di questa città, il pregiudizio di tutta Italia. (Signor Fiorindo, per amor del cielo, ditemi voi, se sapete, perchè Rosaura non vuol più scrivere, non vuol più comporre?)

Florindo. Sentite. Signora Rosaura, con vostra buona licenza...

Rosaura. Già non fate nulla. Non voglio comporre mai più.

Ottavio. Oh povero me!

Florindo. (E diceva che non sapeva fingere). (da sè) Sentite, signor Ottavio. Io ho penetrato il cuore della signora Rosaura. Ella è una figliuola savia ed onesta; ha sentito rimproverarsi dalla matrigna, e da altri ancora, che una giovine da marito fa cattiva figura a trattare familiarmente coi giovani poeti, a scrivere composizioni amorose, a perdere il tempo colla poesia, e che nessuno farà conto di lei, e niuno la vorrà per moglie, a causa di questa sua poesia. Onde la povera signora si è fissata su ciò, e non vuol più comporre.

Ottavio. Che lasci dire, che lasci cianciare. Ella non ha bisogno di marito. Starà con me, starà con me.

Florindo. Voi non viverete sempre. Se morite voi, la povera giovine resterà screditata.

Ottavio. Credete voi ch’io voglia morir domani?

Florindo. Il cielo vi conservi, ma siamo mortali.

Rosaura. Mai più, mai più.

Ottavio. No, cara, non dir così.

Florindo. Sentite: io anzi vi consiglierei maritarla, e allora non avrà più difficoltà di comporre.