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IL TEATRO COMICO | 55 |
italiani sono temerari, arrischiandosi a parlare in pubblico all’improvviso; ma questa che può dirsi temerità nei comici ignoranti, è una bella virtù ne’ comici virtuosi; e ci sono tuttavia de’ personaggi eccellenti che, ad onor dell’Italia e a gloria dell’arte nostra, portano in trionfo con merito e con applauso l’ammirabile prerogativa di parlare a soggettoa, con non minore eleganza di quello che potesse fare un poeta scrivendo.
Eugenio. Ma le maschere ordinariamente patiscono a dire il premeditato.
Orazio. Quando il premeditato è grazioso e brillante, e bene adattato il carattere del personaggio che deve dirlo, ogni buona maschera volentieri lo impara.
Eugenio. Dalle nostre commedie di carattere non si potrebbero levar le maschere?
Orazio. Guai a noi, se facessimo una tal novità: non è ancor tempo di farla. In tutte le cose non è da mettersi di fronte contro all’universale. Una volta il popolo andava alla commedia solamente per ridere, e non voleva vedere altro che le maschere in iscena; e se le parti serie facevano un dialogo un poco lungo, s’annoiavano immediatamente: ora si vanno avvezzando a sentir volentieri le parti serie, e godono le parole, e si compiacciono degli accidenti, e gustano la morale, e ridono dei sali e dei frizzi cavati dal serio medesimo, ma vedono volentieri anche le maschere, e non bisogna levarle del tutto, anzi convien cercare di bene allogarle e di sostenerle con merito nel loro carattere ridicolo, anche a fronte del serio più lepido e più grazioso.
Eugenio. Ma questa è una maniera di comporre assai difficile.
Orazio. È una maniera ritrovata non ha molto, alla di cui comparsa tutti si sono invaghiti, e non andrà gran tempo che si sveglieranno i più fertili ingegni a migliorarla, come desidera di buon cuore chi l’ha inventata.
- ↑ All’improvviso.