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580 | ATTO SECONDO |
Beatrice. Certo, se non foss’io, povero mio marito! Questa casa andrebbe in rovina.
Tonino. Mah! L’è sta ben fortuna el sior Ottavio a trovar una muggier com’ella. Una certa simpatia sento che me obbliga e me trasporta a consacrarghe colla mazor onestà e modestia tutto el mio cuor.
Beatrice. Ah, signor Tonino, voi siete poeta.
Tonino. Cossa vorla dir per questo?
Beatrice. Siete avvezzo a fingere.
Tonino. Un tempo i poeti finzeva, quando i se serviva delle favole per spiegar i popri pensieri, e quando colle iperboli e coi traslati i vestiva de finti colori le parole e i concetti. Adesso la poesia è deventada piana e sincera, e che sia la verità, la senta un sonettin, che ho fatto za un’ora in lode1 de ella.
Beatrice. In lode mia?
Tonino. In lode soa.
Beatrice. Così presto?
Tonino. L’averlo fatto presto, giustifica che l’ho fatto de cuor. (No la sa, che so improvvisar). (da sè)
Beatrice. Io veramente non amo la poesia.
Tonino. Se no la vol che ghe lo diga, pazienza.
Beatrice. È un sonetto in mia lode?
Tonino. Senz’altro.
Beatrice. Via, perchè l’avete fatto voi, lo sentirò volentieri.
Tonino. (Sentirse lodar piase a tutti, e specialmente alle donne). (da sè) La senta, e la compatissa.
SONETTO.
Spaziosa fronte, e bianco viso e pieno,
Occhio celeste, or torbido, or sereno;
Angusto labbro, rigoroso, austero.