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IL TEATRO COMICO 53

Arlecchino. Mi, se vederò quatchedun che te zira d’intorno, darò logo alla fortuna.

Colombina. Bravissimo.

Brighella. Mi, se troverò qualchedun in casa, el copperòa.

Arlecchino. E mi torrò el candelier, e ghe farò lume.

Brighella. Cossa diseu?

Arlecchino. Cossa te par?

Colombina. Ora che ho sentite le vostre ragioni, concludo che Brighella pare troppo rigoroso e Arlecchino troppo paziente. Onde fate così, impastatevi tutti due, fate di due pazzi un savio, ed allora vi sposerò. (parte)

Brighella. Arlecchin?

Arlecchino. Brighella?

Brighella. Com’ela?

Arlecchino. Com’ela?

Brighella. Ti, che ti è un maccaron1, ti te pol impastar facilmente.

Arlecchino. Piuttosto ti, che ti è una lasagna senza dreto e senza roverso.

Brighella. Basta, no l’è mio decoro che me metta in competenza con ti.

Arlecchino. Sastu cossa che podemo far? Colombina sa far la furba e l’accorta, quando che la vol; ergo impastemose tutti do con ela, e faremo de tre paste una pasta da far biscotto per le galere. (parte)

SCENA IX.

Brighella, poi Orazio ed Eugenio.

Brighella. Costù, per quel che vedo, l’è goffo e destro; ma no saria mio decoro, che me lassasse da lu superar. Qua ghe vol spirito, ghe vol inzegno. Qual piloto, che trovandose in

  1. Lo accopperò.
  1. Gnocco.