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574 | ATTO SECONDO |
Arlecchino. A mi?
Ottavio. Sì. Non vedi che va male? Noi così parimenti...
Arlecchino. Cossa ghe n’hoio da far?
Ottavio. Va via, lasciami finir questa prefazione.
Arlecchino. L’è un omo generoso, el m’ha donà un relogio alla prima. Pazienza, l’anderò a vender. (vuol partire)
Ottavio. Andremo i teneri ramuscelli... Chi è colui, che parte da questa camera? (vedendo Arlecchino) Ehi, galantuomo.
Arlecchino. Signor.
Ottavio. Che cosa volete? Che cosa fate in questa camera?
Arlecchino. Eh gnente, vago subito.
Ottavio. Che cos'è quello1? (vede l’orologio)
Arlecchino. L’è l’effetto delle so2 grazie.
Ottavio. Come? Il mio orologio? Ah ladro disgraziato! Tu mi mi hai rubato l’orologio.
Arlecchino. Se la me l’ha dà ella colle so man.
Ottavio. Eh, chi è di là? Presto, voglio mandare a chiamar gli sbirri.
Arlecchino. Me maraveio, sior, son un galantomo.
Ottavio. Sei un disgraziato, un ladro, un assassino. Ti sei introdotto in casa mia per rubare, e ti sei prevalso della mia distrazione per rapirmi l’orologio di mano.
Arlecchino. Ghe digo che son un omo onorato.
Ottavio. Le Muse, che non abbandonano i suoi divoti, mi hanno avvertito in tempo per iscoprirti.
Arlecchino. Sia maledetto quando son vegnù qua.
Ottavio. Ti voglio far frustare, ti voglio far andar in galera.
Arlecchino. Son un omo d’onor, corpo de bacco.
Ottavio. (Come! E un poeta?)
Arlecchino. Mi son un galantom, non un mariuolo.
Ottavio. (È poeta, è poeta!) (da sè) Caro amico, vi domando perdono. Ditemi, siete voi servo d’Apollo?