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IL POETA FANATICO 553

l’ho io generata, concorressero alla grand’opera le nove Muse ed Apollo istesso. Sì, vado a comunicare al parto delle mie viscere il parto novello della mia mente.

          E nostra fama ai lidi più lontani
          Renderà stupefatti uomini e belve.
(recitando parte)

SCENA VIII1.

Camera di locanda.

Tonino e Corallina.

Tonino. Via, cossa gh’è? Coss’è sta malinconia? Se ancuo le cosse va mal, un altro zorno le anderà ben.

Corallina. Dite benissimo; se oggi non si mangia, forse forse si mangerà domani, e se non domani, può essere un altro giorno. Questo locandiere non ci vuol dare un pane a credenza.

Tonino. Cara muggier, gh’avè rason, ma ve prego, no me mortifìchè d’avantazzo. Avemo fenio i bezzi, avemo fenio la roba; no me xe resta altro che un poco de spirito, per cercar el remedio alle nostre desgrazie. Se me avvilì, se me opprimè, semo persi affatto, podemo andarse a far seppellir, perchè moriremo de fame.

Corallina. Per oggi non moriremo di fame, poichè ho mandato Arlecchino mio fratello a vendere un fazzoletto di seta, che era l’unico mobile che mi era restato.

Tonino. Poverazza! Diseme, cara, seu pentia d’averme tolto per mario?

Corallina. Compatitemi, queste non sono interrogazioni da fare a una moglie, quando non vi è da mangiare.

Tonino. Pol esser che colla poesia se femo strada a qualche fortuna. Mi, savè che per componer in bernesco e per improvvisar, a Venezia giera in qualche concetto. Vu sè anca più brava de mi, componè de bon gusto, componè all’improvviso,

  1. Sc. IV nell’ed. Bett.