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Staffiere bolognese. (Cusì arsparmiarò mi la fadiga de dari la schiuptà. El so servitor an s’n’è accort?)

Cuoco. (Om’ha tegnù corda le asì).

Sigismondo. Questo caffè è molto amaro.

Paggio. Si serva di zucchero.

Sigismondo. È amaro più del solito.

Sancio. Sarà bene abbruciato. (il cuoco e lo staffiere ridono)

Sigismondo. Per quanto zucchero vi metto, è sempre amaro. Chi l’ha fatto?

Paggio. Il suo servitore.

Sigismondo. Basta, l’ho bevuto, ma con poco piacere.

Sancio. Quanto è più amaro, vi farà meglio allo stomaco.

Paggio. Comanda altro?

Sigismondo. No. Obbligato, paggino, obbligato.

Cuoco. (Ei! L’ha beiuo. Vago a Zena). (via)

Staffiere bolognese. (E me, quand al srà cherpà, andrò a Bulogna cuntent). (via)

Paggio. (Questo servitore ne ha fatta una chicchera sola, non v’è nemmeno una goccia per il povero paggio). (via)

Sancio. Or via, andate a stendere questo decreto.

Sigismondo. Quando l’ho steso, lo porto a sottoscrivere?

Sancio. Sì, e se dormissi, svegliatemi.

Sigismondo. Oimè! 11 caffè mi ha fatto peggio.

Sancio. Non temete di male. Andate a scrivere, che vi passerà.

Sigismondo. Vado immediatamente a servirla. (via)

Sancio1. Queste cento doppie le donerò a donna Aspasia.

SCENA VIII.

Donna Aspasia e detto.

Aspasia. Serva sua, signor don Sancio. (sostenuta)

Sancio. Donna Aspasia, accomodatevi.

Aspasia. Vi ringrazio, vi ringrazio, voglio andar via.

  1. Qui comincia nell’ed. Pap. la sc. VIII.