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L'ADULATORE 507

Conte. Signor Pantalone, non si potrebbe avere con quaranta zecchini?

Pantalone. No ghe xe caso. Ghe zuro da omo d’onor, che a farlo far l’ha costà più de cento.

Sancio. Veramente è assai bello. Conte, non ve lo lasciate fuggire.

Conte. Quand’è così, per cinquanta zecchini lo prendo io.

Luigia1. Signor no. Per cinquanta zecchini lo prendo io. (donna Luigia ritorna con una borsa)

Sancio. Io non voglio spendere questi denari.

Luigia. Se non li volete spender voi, li spenderò io. Eccovi cinquanta zecchini.

Pantalone. E mi ghe dago el zoggielo.

Isabella. (Pazienza!) (da sè, piange)

Conte. Che avete, cara, che avete?

Isabella. Niente. (piange)

Conte. Via, mio tesoro, ve ne comprerò uno più bello.

Luigia2. Che è questo mio tesoro? Che domestichezze sono codeste?

Conte. È mia sposa.

Luigia. Ancora non è tale. In faccia mia mi avete a portar rispetto.

SCENA XIII3.

Il Paggio e detti.

Paggio. Eccellenza, sono qui i gabellieri ed il bargello, che domandano udienza.

Sancio. Sono annoiato. Il segretario non c’è; che tornino.

Paggio. La cosa è di gran premura. Vi è con essi donna Elvira.

Sancio. Qualche supplica per suo marito. Se vi fosse il segretario... Via, che passino.

Paggio. (Altri due scudi).4 (da sè, parte)

Conte. Signore, guardatevi dal segretario, ch’è un uomo finto.

  1. Comincia nell’ed. Bett. la sc. XVII.
  2. Segue nelle edd. Bett., Pap. ecc.: «Cont. (Oh che invidia I)».
  3. Sc. XVIII nell’edd. Bett. e XX nell’ed. Pap.
  4. Da questo punto la sc. segue diversamente nelle edd. Bett., Pap. ecc.: come si vede nell’Appendice, p. 521.