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46 ATTO SECONDO

Lelio. Dunque non si hanno a mettere sulla scena i cattivi caratteri, per correggerli e svergognarli?

Orazio. I cattivi caratteri si mettono in iscena, ma non i caratteri scandalosi, come sarebbe questo di un padre che faccia il mezzano alle proprie figliuole. E poi, quando si vuol introdurre un cattivo carattere in una commedia, si mette di fianco, e non in prospetto: che vale a dire, per episodio, in confronto del carattere virtuoso, perchè maggiormente si esalti la virtù, e si deprima il vizio.

Lelio. Signor Orazio, non so più cosa dire. Io non ho altro da offerirvi.

Orazio. Mi spiace infinitamente. Ma quanto mi avete offerto, non fa per me.

Lelio. Signor Orazio, le mie miserie sono grandi.

Orazio. Mi rincresce, ma non so come soccorrervi.

Lelio. Una cosa mi resta a offerirvi, e spero che non vi darà il cuore di disprezzarla.

Orazio. Ditemi in che consiste.

Lelio. Nella mia stessa persona.

Orazio. Che cosa dovrei fare di voi?

Lelio. Farò il comico, se vi degnate accettarmi.

Orazio. (S’alza) Voi vi esibite per comico? Un poeta che deve essere maestro de’ comici, discende al grado di recitante? Siete un impostore: e come siete stato un falso poeta, così sareste un cattivo comico. Onde rifiuto la vostra persona, come ho le opere vostre già rifiutate; dicendovi per ultimo che v’ingannate, se credete che i comici onorati, come noi siamo, diano ricetto ai vagabondi. (parte)

Lelio. Vadano al diavolo i soggetti, le commedie e la poesia. Era meglio che mi mettessi a recitare alla prima. Ma ora il capo mi scaccia, e non mi vuole. Chi sa! col mezzo del signor Brighella può essere che mi accetti. Tant’è; mi piace il teatro. Se non son buono per comporre, mi metterò a recitare. Come quel buon soldato, che non potendo essere capitano, si contentò del grado di tamburino. (parte)