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L'ADULATORE 491

Elvira. Dunque ve lo chiedo per grazia.

Sigismondo. Le grazie non si fanno ai nemici.

Elvira. Nemica io non vi sono.

Sigismondo. Lode al cielo, che avete detto una volta che non mi siete nemica.

Elvira. Non mi tormentate d’avvantaggio, per carità.

Sigismondo. Quando mi siete amica, avanti sera vi mando a casa il consorte.

Elvira. Che siate benedetto! Voi mi ritornate da morte a vita.

Sigismondo. Ma come mi assicurate della vostra amicizia?

Elvira. Qual dubbio potete averne?

Sigismondo. Le mie passate sfortune mi hanno insegnato a dubitare di tutto.

Elvira. Che potete voi temer da una donna?

Sigismondo. Nient’altro che d’essere sonoramente burlato.

Elvira. Il mio caso non ha bisogno di scherzi.

Sigismondo. E il mio ha bisogno di compassione.

Elvira. Oh cieli!1 Non posso più. Don Sigismondo, voi mi trattate troppo barbaramente.

Sigismondo. Una delle mie parole può consolar voi, e una delle vostre può consolare ancor me.

Elvira. Orsù, v’intendo. L’amore, la passione, il dolore mi hanno lusingata soverchiamente di poter sperare da voi grazia, giustizia, discrezione, onestà. Siete un’anima indegna, siete un perfido adulatore, e siccome credo opera vostra la carcerazione di don Filiberto, così spero invano vederlo per vostro mezzo ritornato alla luce. So con qual prezzo mi vendereste la vostra buona amicizia, ma sappiate che più di mio marito, più della mia vita medesima, amo l’onor mio: quell’onore che voi non conoscete, quell’onore che voi insidiate; ma spero vivamente nella bontà del cielo, che l’innocenza sarà conosciuta, che le mie lagrime saranno esaudite, e che voi sarete2 giustamente punito. (parte)

  1. Bett.: Oh Dio!
  2. Bett., Pap. ecc.: e che voi perfido, scellerato, impostore, sarete.