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L'ADULATORE 483

SCENA XIV.

Il Conte Ercole e dette.

Conte. Perdonate, signora, se vengo avanti così arditamente. Non vi è un cane in anticamera. Tutti i servitori sono in tumulto.

Luigia. Non vi è nemmeno la mia cameriera. Via1, tirate giù. (a donna Isabella)

Conte. Signora, se comandate, lo farò io.

Luigia. Obbligata, l’ha da far Isabella. Ignorantaccia! nemmeno è buona a cavar un guanto. Presto, quest’altro.

Conte. (Questa poi non la posso soffrire). (da sè)

Luigia. Tanto vi vuole, scimunita, sciocca?

Conte. (E di più la maltratta). (da sè)

Isabella. Sono stretti, stretti.

Luigia. Sono stretti, stretti? Vi vuol giudizio. Ma tu non ne hai, e non ne averai.

Conte. (Or ora mi scappa la pazienza). (da sè)

Luigia. (Pare che ci patisca il signor Conte). (da sè) Prendi, porta via questi guanti, e portami lo specchio.

Isabella. (Oh pazienza, pazienza!) (da sè, parte)

SCENA XV2.

Donna Luigia e il Conte Ercole, poi Donna Isabella ritorna collo specchio.


Conte. Ma, cara signora donna Luigia, compatitemi se a troppo mi avanzo, non mi par carità trattare così una figlia.

Luigia. Voi non sapete, come si allevino i figliuoli. Questa è una cosa che tocca a me.

Conte. Io per altro so che le persone civili non trattano così le loro figliuole.

Luigia. Che vuol dire, signor Conte, che vi riscaldate tanto? Siete forse di lei innamorato?

  1. Bett.: animo.
  2. È unita nell’ed. Bett. alla scena preced.