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L'ADULATORE | 477 |
Arlecchino. Aspettè, sior padron, che me manca el meio. (vuol partire)
Sancio. Senti, vien qui.
Arlecchino. Vegno subito. (parte)
Sancio. Voleva mandar a domandare il segretario, per il vostro interesse.
Aspasia. È vero che avete licenziata la vostra servitù?
Sancio. Sì, don Sigismondo la vuol mutare.1
SCENA IX.
Arlecchino e detti.
Arlecchino. Son qua con quel che mancava.
Sancio. Qualche altro sproposito. Che cosa hai?
Arlecchino. Cognossì questi? (gli mostra un paio d’occhiali)
Sancio. Quello è un paio d’occhiali.
Arlecchino. Cognossì questo? (gli mostra un laccio)
Sancio. Che pazzo! Quello è un laccio.
Arlecchino. Questi per vu; e questo per el boia.
Sancio. Spiegati. Che intendi di dire?
Arlecchino. Questi per vu, acciò imparò meio a cognosser el vostro segretario. Questo per el boia, acciocchè el lo possa impiccar.
Aspasia. (Ride.)
Arlecchino. Ride? Gh’ho una cossa anca per vu. (a donna Aspasia)
Aspasia. E per me, che cosa hai?
Arlecchino. Una piccola galanteria a proposito. (cava una castagna) Eccola.
Aspasia. Questa è una castagna.
«Bella de fora e drento la magagna.
Aspasia. Temerario!
Sancio. Compatitelo. È buffone.
- ↑ Segue nelle edd. Bett., Pap. ecc.: «Asp. (Vorrà guadagnare su quelli che metterà lui).»