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476 | ATTO SECONDO |
Aspasia.1 Anzi non voglio perder tempo. Voglio andar adesso a far chiamare un rigattiere2...
Sancio. Fermatevi. Gli si potrebbe dar la metà.
Aspasia. Questo poi no. Ho promesso in parola d’onore di pagar tutto.
Sancio. Mandiamolo a chiamare; sentiamo un poco.
Aspasia. Vi dico che non voglio perder la mia riputazione.
Sancio. Dunque?
Aspasia. Dunque vender tutto a rotta di collo.
Sancio. Aspettate. Ehi, chi è di là?
SCENA VIII.
Arlecchino vestito con sotto il suo abito, poi con una livrea in un braccio, una giubba civile nell’altro braccio, dinanzi un grembiale da cucina, una parrucca arruffata, una frusta in mano, stivali in piedi; e detti.
Arlecchino. Cossa comandela?
Sancio. Oh buffone! Non cercava di te. Che razza di vestitura è quella che tu hai?
Arlecchino. Una vestidura a proposito del tempo che corre. Questo l’è l’abito da camerier; questa l’è la livrea da staffier; questa l’è la perucca da mastro de casa; questo l’è el grembial da cogo; questa l’è la scuria da carrozzier; e questi i è i stivali da cavalcante.
Sancio. Perchè tutta questa roba intorno di te?
Arlecchino. Perchè el carissimo sior segretario ha licenzià tutta sta zente; no ghe sarà altri servitori che mi, e mi me parecchio a far ogni cossa.
Sancio. Che ne dite? È grazioso costui?
Aspasia. Sì, è grazioso, ma il tempo passa e il mio creditore non dorme.
Sancio. A proposito. Senti, Arlecchino...È