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42 | ATTO SECONDO |
Placida. Signore, se voi seguiterete questo stile, vi farete ridicolo.
Lelio. Ma i vostri libri, che chiamate generici, non sono tutti pieni di questi concetti?
Placida. I miei libri, che contenevano tali concetti, li ho tutti abbruciati, e così hanno fatto tutte quelle recitanti, che sono dal moderno gusto illuminate. Noi facciamo per lo più commedie di carattere premeditate; ma quando ci accada di parlare all’improvviso, ci serviamo dello stile familiare, naturale e facile, per non distaccarsi dal verisimile.
Lelio. Quand’è così, vi darò io delle commedie scritte con uno stile sì dolce, che nell’impararle v’incanteranno.
Placida. Basta che non sia stile antico, pieno d’antitesi e di traslati.
Lelio. L’antitesi forse non fa bell’udire? Il contrapposto delle parole non suona bene all’orecchio?
Placida. Fin che l’antitesi è figura, va bene; ma quando diventa vizio, è insoffribile.
Lelio. Gli uomini della mia sorta sanno dai vizi trar le figure, e mi dà l’animo di rendere una graziosa figura di ripetizione la più ordinaria cacofonia.
Placida. Sentirò volentieri le belle produzioni dello spirito di lei.
Lelio. Ah, signora Placida, voi avete ad essere la mia sovrana, la mia stella, il mio nume.
Placida. Questa figura mi pare iperbole.
Lelio. Andrò investigando colla mia più fina rettorica tutti i luoghi topici del vostro cuore.
Placida. (Non vorrei che la sua rettorica intendesse di passare più oltre1. (da sè)
Lelio. Dalla vostra bellezza argomento filosoficamente la vostra bontà.
Placida. Piuttosto che filosofo, mi parete un bel matematico2.
Lelio. Mi renderò speculativo nelle prerogative del vostro merito.
Placida. Fallate il conto, siete un cattivo aritmetico.