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L'ADULATORE 441

Sigismondo. (E sua figlia ne ha diciotto). (da sè)

Luigia. Sarà un bel matrimonio ridicolo.

Sigismondo. Io giuoco che da V. E. alla signora Isabella non distingueranno chi sia la sposa.

Luigia. Tutti dicono che siamo sorelle.

Sigismondo. Ed io, sia detto con tutto il rispetto, se fossi un cavaliere e avessi a scegliere fra loro due, mi attaccherei più volentieri alla madre.

Luigia. Oh che caro segretario! Isabella non ha giudizio, e pure, quando sente parlare di matrimonio, si consola tutta.

Sigismondo. Di quell’età?

Luigia. Ora nascono colla malizia in corpo.

Sigismondo. Ma non è maraviglia, se si è maritata tanto bambina anche la madre.

Luigia. Don Sigismondo, siete amico voi del conte Ercole?

Sigismondo. Sì signora, egli mi ha fatte delle confidenze.

Luigia. È ricco?

Sigismondo. Moltissimo.

Luigia. Mi pare anche disinvolto e grazioso.

Sigismondo. Egli è romano, ed ha tutto il brillante di quel paese.

Luigia. Peccato ch’egli si perda con quella scimunita d’Isabella.

Sigismondo. Ma se V. E. è tanto rigorosa e severa, che nulla vuol avere di condescendenza per lui, credo lo faccia per una specie di disperazione.

Luigia. Sentite, faccio a voi una confidenza, che non la farei ad altra persona di questo mondo. Il Conte è una persona ch’io stimo e venero infinitamente; sono donna onorata; ma tutto quello che può sperarsi da una moglie nobile ed onestissima, forse forse l’averà egli da me.

Sigismondo. Perdoni la mia ignoranza; sono all’oscuro affatto di questa bellissima specie di condescendenza. Un cavaliere che ama, non so che cosa possa sperare da un’onestissima moglie.

Luigia. Non importa che voi lo sappiate. Fra il Conte e me c’intendiamo perfettamente.