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L'ADULATORE | 437 |
ad allontanare da Gaeta don Filiberto, o vi è un poco di speranza di migliorar la vostra sorte con donna Elvira?
Sigismondo. Oh! signore, le mie mire non sono di tal carattere.
Sancio. Parliamoci schietto. Nè meno io vedrei volentieri il ritorno di don Ormondo.
Sigismondo. V. E. non è capace di preferire il proprio piacere al pubblico bene.
Sancio. Ma la lontananza di don Ormondo mi giova.
Sigismondo. Che giovi a lei, è un accidente che non decide, ma giova moltissimo alla quiete della città, che colla di lui assenza si mette al sicuro dai torbidi, che produrrebbe la di lui presenza.
Sancio. Caro don Sigismondo, voi mi consolate. Con qualche rimorso m’induceva io a procurare l’allontanamento di don Ormondo; ma poichè voi mi assicurate che il farlo sia un atto di equità e di giustizia, pongo in quiete l’animo mio, e riposo sopra il vostro consiglio.
Sigismondo. Bella docilità, bella chiarezza di spirito, che apprende tutto con facilità, e discerne a prima vista il vero, il bene, la ragione ed il giusto!
Sancio. Potrei parlare con donna Aspasia?
Sigismondo. La faremo venire a Corte. La inviti a pranzo.
Sancio. Mia moglie che dirà?
Sigismondo. Ella non è dominata dallo spirito della gelosia, ma da quello dell’ambizione.
Sancio. La sua passione è l’invidia.
Sigismondo. Un marito saggio, come V. E., saprà correggerla.
Sancio. Non prendo cura della pazzia d’una donna.
Sigismondo. Fa benissimo. Pensi ognuno per sè.
Sancio. Qualche volta per altro mi fa venire la rabbia.
Sigismondo. Il marito alla fin fine comanda.
Sancio. Ma per goder la mia quiete, dissimulo e lascio correre.
Sigismondo. Oh bel naturale! Oh bel temperamento! Lasciar correre. Invidio una sì bella virtù.
Sancio. Quello che più mi pesa, è Isabella mia figlia. Ella cresce negli anni, e mi converrà collocarla.