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L'ADULATORE | 435 |
putati della città per informare V. E., ed ella, che in cose più gravi e serie impiegava il suo tempo, ha comandato a me di sentirli, e raccogliere le istanze loro.
Sancio. Mi pare ch’essi venissero una mattina, in cui col mio credenziere stava disegnando un deser.
Sigismondo. Gran delicatezza ha V. E. nel disegno! In verità tutti restano maravigliati.
Sancio. In ogni pranzo che io do, sempre vedono un deser nuovo. I pezzi sono i medesimi, ma disponendoli diversamente, formano ogni volta una cosa nuova.
Sigismondo. Ingegni grandi, talenti felici!
Sancio. Ditemi1, quant’è che non avete veduto donna Aspasia?
Sigismondo. Ieri sera andai alla conversazione in sua casa.
Sancio. V’ha detto nulla di me?
Sigismondo. Poverina! Non faceva che sospirare.
Sancio. Sospirare? Perchè?
Sigismondo. V. E. se lo può immaginare.
Sancio. Sospirava forse per me?
Sigismondo. E chi è quella donna, che dopo aver trattato una volta o due con V. E., non abbia da sospirare?
Sancio. Voi mi adulate.
Sigismondo. Perdoni, aborrisco l’adulazione come il peccato più orribile sulla terra. Il marito di donna Aspasia è ancora presso la Corte, per impetrare da S. M. di poter venire colla sua compagnia a quartiere d’inverno a Gaeta.
Sancio. Come lo sapete?
Sigismondo. Evvi la lettera del Segretario di Stato.
Sancio. Io non l’ho letta. Che cosa dice?
Sigismondo. Egli ne dà parte a V. E., e siccome si sa alla Corte che don Ormondo, marito di donna Aspasia, aveva una inimicizia crudele col duca Anselmo, chiede per informazione se siano reconciliati, e se può temersi che il ritorno di don Ormondo alla patria, possa riprodurre de’ nuovi scandali.
- ↑ Bett.: Ditemi un poco.