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434 | ATTO PRIMO |
Sancio. Scrivete al Segretario di Stato, che mi duole il capo; e con un complimento disimpegnatemi dallo scrivere di proprio pugno.
Sigismondo. A me preme l’onore di Vostra Eccellenza quanto la mia propria vita. Se mi fa l’onore di riportarsi alla mia insufficienza nel formare i dispacci, ho piacere che di quel poco ch’io so, si faccia ella merito.
Sancio. Se vi ordino i dispacci, non è perchè non abbia io la facilità di dettarli, ma per sollevarmi da questo peso. Per altro so il mio mestiere, e la Corte fa stima delle mie lettere.
Sigismondo. (Appena sa scrivere). (da sè) Eccellenza sì: so quanto si esalti alla Corte, e per tutto il mondo, lo stile bellissimo, terso e conciso de’ di lei fogli. Io, dacchè ho l’onore di servirla in qualità di segretario, confesso aver appreso quello che per l’avanti non era a mia cognizione.
Sancio. Lasciatemi sentire il dispaccio.
Sigismondo. Obbedisco. (legge)
Sacra Real Maestà.
Da che la clemenza della M. V. mi ha destinato al governo di questa Città, si è sempre aumentato in me lo zelo ardentissimo di secondare le magnanime idee del mio adorato Sovrano, nell’esaudire le preci de’ suoi fedelissimi sudditi. Bramano questi instituire una Fiera in questa Città, da farsi due volte l’anno, ed hanno già disegnato il luogo spazioso e comodo per le botteghe e per li magazzini, facendo essi constare, che da ciò ne risulterà un profitto riguardevole alla Città, e un utile grandioso alle regie finanze. Mi hanno presentato l’ingiunto Memoriale, ch’io fedelmente trasmetto al trono della M. V., dalla di cui clemenza attendesi il favorevol rescritto, per consolar questi popoli intenti a migliorar la condizione del loro paese, e aumentare il real patrimonio...
Sancio. Fermatevi un poco. Io di questo affare non ne sono informato.
Sigismondo. Quest’è l’affare, per cui, giorni sono, vennero i De-