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a confessar le sue trame, mandandolo a finir di vivere tra le scene, accompagnato dalle ingiurie e dalle maladizioni de’ spettatori. Ho conosciuto col tempo, che il tragico fine dell’uomo indegno non lasciava di rattristare i più sensitivi all’umanità, e che l’orror della morte, benchè dovuta ad un empio, facea partir melanconici gli uditori, onde ho cambiato il di lui destino, mandandolo in ferri in potere della Giustizia, da che si prevede, se non si vede, il di lui castigo, con meno orrore del Popolo, e con più lieto fine della Commedia.
So che taluni han detto non essere Don Sigismondo un Adulatore, ma un Ministro infedele, un uomo disonesto, un usurpatore. Egli è tutto quel ch’essi dicono, ma servendosi, per arrivare a’ suoi fini, dell’adulazione, io lo trovo un accortissimo adulatore. Niuno adula per il semplice piacer di adulare. Non lo farebbe, se non aspirasse a profittare dell’arte indegna, ed è necessario che si veggano i tristi effetti di chi gli crede. Io non ho scelto un adulator del bel sesso, contento di cattivarsi la buona grazia soltanto di qualche vana bellezza; sarebbe troppo leggiero il carattere per colpir dalle scene. Nè tampoco mi son contentato di un Adulatore grazioso, vago di amicizie e di protezioni. I vizi mezzani non imprimono tutto quell’odio, che si vuol destare contro la ribalderia, ed è necessario tingere di colori forti il Protagonista, perchè sia rimarcato. Ecco un Adulatore sfacciato; eccolo al fianco di un Padrone semplice e malaccorto; eccolo immerso nel pelago delle insidie, degl’inganni, delle ragioni. Odiatelo, amici, ch’ei ben lo merita, e Dio vi guardi dalle pessime arti di cotal gente, che sono l’ira del Cielo e l’obbrobrio degli uomini.