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IL BUGIARDO 363

Lelio. Non vi dissi la centesima parte delle mie pene. E poi è un anno che taccio; e posso dir ancora ch’io peno tacendo.

Rosaura. Andiamo avanti:

          Che temendo d’altrui vi voglia il fato,
          M’esce dagli occhi, e più dal cuore il pianto.

 Chi mi vuole? Chi mi pretende?

Lelio. Solita gelosia degli amanti. Io non ho ancora parlato con vostro padre, non siete ancora mia, dubito sempre e dubitando io piango1.

Rosaura. Signor Marchese, spiegatemi questi quattro versi bellissimi

     Io non son cavalier, nè titolato,
          Nè ricchezze o tesori aver mi vanto;
          A me diede il destin mediocre stato,
          Ed è l’industria mia tutto il mio vanto.

Lelio. (Ora sì, che sono imbrogliato). (da sè

Rosaura. È vostro questo bel sonetto?

Lelio. Sì, signora, è mio. Il sincero e leale amore, che a voi mi lega, non mi ha permesso di tirar più a lungo una favola, che poteva un giorno esser a voi di cordoglio, e a me di rossore. Non son cavaliere, non son titolato, è vero. Tale mi finsi per bizzarria, presentandomi a due sorelle, dalle quali non volevo esser conosciuto. Non volevo io avventurarmi così alla cieca, senza prima esperimentare se potea lusingarmi della vostra inclinazione; ora che vi veggo pieghevole a’ miei onesti desiri, e che vi spero amante, ho risoluto di dirvi il vero, e non avendo coraggio di farlo colla mia voce, prendo l’espediente di dirvelo in un sonetto. Non sono ricco, ma di mediocri fortune, ed esercitando in Napoli la nobil arte della mercatura, è vero che l’industria mia è tutto il mio vanto.

Rosaura. Mi sorprende non poco la confessione che voi mi fate; dovrei licenziarvi dalla mia presenza, trovandovi menzognero;

  1. Bett., Pap. ecc. aggiungono: Sentite? faccio versi anco all’improvviso.