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358 | ATTO SECONDO |
gozio no xe tanto fresco. Va là, che ti ha fatto una bella cossa a no me avvisar. Dirà ben to messiera, che ti gh’ha un pare senza creanza, non avendoghe scritto una riga per consolarme de sto matrimonio. Ma quel che non ho fatto, farò. Sta sera va via la posta de Napoli, ghe voggio scriver subito, e sora tutto ghe voggio raccomandar la custodia de mia niorab
e de quel parto che vegnirà alla luse, che essendo frutto de mio fio, el xe anca parto delle mie vissere. Vago subito... Ma no me arrecordo più el cognome de don Policarpio. Tornemelo a dir, caro fio.
Lelio. (Non me lo ricordo più nemmen io!) (da sè Don Policarpio Carciofoli.
Pantalone. Carciofoli? Non me par che ti abbi dito cussì. Adesso me l’arrecordo. Ti m’ha dito d’Albacava.
Lelio. Ebbene, Carciofoli è il cognome, Albacava è il suo feudo; si chiama nell’una e nell’altra maniera.
Pantalone. Ho capio. Vago a scriver. Ghe dirò, che subito che la xe in stato de vegnir, i me la manda a Venezia la mia cara niora. No vedo l’ora de vèderla; no vedo l’ora de basar quel caro puttello, unica speranza e sostegno de casa Bisognosi, baston della vecchiezza del povero Pantalon. (parte
SCENA XIII1.
Lelio solo.
Lelio. Che fatica terribile ho dovuto fare per liberarmi dall’impegno di sposare questa Bolognese, che mio padre aveva impegnata per me! Quand’abbia a far la pazzia di legarmi colla catena del matrimonio, altre spose non voglio che Rosaura. Ella mi piace troppo. Ha un non so che, che a prima vista m’ha colpito. Finalmente è figlia di un medico, mio padre
- ↑ Nell’ed. Bett. è unita alla scena preced.