Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
IL TEATRO COMICO | 31 |
Orazio. Tra poco devo sentire un poeta, e poi voglio che proviamo qualche scena.
Gianni. Se voli un poeta, son qua mi.
Orazio. Siete anche poeta?
Gianni. Eccome!
«Anch’io de’ pazzi ho il triplicato onore.
«Son poeta, son musico e pittore. (parte)
Orazio. Buono, buono. Mi piace assai. In un Arlecchino anche i versi son tollerabili. Ma cotesti signori non vengono. Anderò io a sollecitarli. Gran pazienza ci vuole a far il capo di compagnia; chi non lo crede, provi una settimana, e protesto che gliene anderà via subito la volontà. (parte)
SCENA IX.
Beatrice e Petronio.
Beatrice. Via, signor Dottore, favoritemi, andiamo. Voglio che siate voi il mio cavalier servente.
Petronio. Il cielo me ne liberi.
Beatrice. Per qual cagione?
Petronio. Perchè in primo luogo io non son così pazzo, che voglia assoggettarmi all’umore stravagante di una donna. In secondo perchè, se volessi farlo, lo farei fuori di compagnia, che chi ha giudizio, porta la puzza lontano da casa: e in terzo luogo perchè con lei farei per l’appunto la parte del Dottore nella commedia intitolata La suocera e la nuora.
Beatrice. Che vuol dire?
Petronio. Per premio della mia servitù, non potrei attendere altro che un qualche disprezzo.
Beatrice. Sentite, io non bado a queste cose. Serventi non ne ho mai avuti, e non ne voglio; ma quando dovessi averne, li vorrei giovani.
Petronio. Le donne s’attaccano sempre al loro peggio.
Beatrice. Non è mai peggio quel che piace.
Petronio. Non s’ha da cercar quel che piace, ma quel che giova.