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354 | ATTO SECONDO |
Lelio. Signor padre, perdonatemi; è vero che i padri pensano bene per i figliuoli, ma i figliuoli devono star essi colla moglie, ed è giusto che si soddisfacciano.
Pantalone. Sior fioa, questi no xe quei sentimenti de rassegnazion, coi quali me avè fin adesso parlà. Finalmente son pare, e se per esser sta arlevà lontan da mi, no avè imparà a respettarme, son ancora a tempo per insegnarvelo.
Lelio. Ma non volete nemmeno che prima io la veda?
Pantalone. La vederè, quando averè sottoscritto el contratto. Alla vecchia se fa cussì. Quel che ho fatto, ho fatto ben; son vostro pare, e tanto basta.
Lelio. (Ora è tempo di qualche spiritosa invenzione). (da sè
Pantalone. E cussì, cossa me respondeu?
Lelio. Ah, signor padre, ora mi veggo nel gran cimento, in cui mi pone la vostra autorità; non posso più a lungo tenervi celato un arcano.
Pantalone. Coss’è? Cossa gh’è da niovo?
Lelio. Eccomi a’ vostri piedi. So che ho errato, ma fui costretto a farlo. (s’inginocchia
Pantalone. Mo via, di’ su, coss’hastu fatto?
Lelio. Ve lo dico colle lagrime agli occhi.
Pantalone. Destrigheteb, parla.
Lelio. A Napoli ho preso moglie.
Pantalone. E adesso ti me lo disi? E mai no ti me l’ha scritto? E mio fradello no lo saveva?
Lelio. Non lo sapeva.
Pantalone. Levete su; ti meriteressi che te depennasse de fio, che te scazzasse de casa mia. Ma te voio ben, ti xe el mio unico fio, e co la cossa xe fatta, no gh’è remedio. Se el matrimonio sarà da par nostro, se la niora me farà scriver, o me farà parlar, fursi fursi l’accetterò. Ma se ti avessi sposà qualche squaquarinac...
Lelio. Oh, che dite mai, signor padre? Io ho sposato una onestissima giovane.