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350 ATTO SECONDO

Dottore. Ma come ha potuto dire questo disgraziato tutto quello che ha detto?

Ottavio. L’ha detto con tanta costanza, che sono stato forzato a crederlo, e se il signor Fiorindo, che so essere sincero e onorato, non mi avesse chiarito, forse forse ancora non ne sarei appieno disingannato.

Dottore. Io resto attonito come colui, appena arrivato, abbia avuto il tempo di piantare questa carota. Sa che Rosaura e Beatrice sieno mie figlie?

Ottavio. Io credo di sì. Sa che sono figlie d’un medico.

Dottore. Ah disgraziato! Così le tratta? Non gli do più Rosaura per moglie.

Ottavio. Signor Dottore, vi domando perdono.

Dottore. Vi compatisco.

Ottavio. Non mi private della vostra grazia.

Dottore. Vi sarò amico.

Ottavio. Ricordatevi che mi avete esibita la signora Beatrice.

Dottore. Mi ricordo che l’avete rifiutata.

Ottavio. Ora vi supplico di non negarmela.

Dottore. Ne parleremo.

Ottavio. Ditemi di sì, ve ne supplico.

Dottore. Ci penserò.

Ottavio. Vi chiedo la figlia, non vi disturberò per la dote.

Dottore. Via, non occorre altro, ci parleremo. (parte)

Ottavio. Non mi curo perder la dote, se acquisto Beatrice. Ma vuol essere difficile l’acquistarla. Le donne sono più costanti nell’odio, che nell’amore. (parte

SCENA X1).

Camera in casa di Pantalone.

Lelio ed Arlecchino.

Lelio. Arlecchino, sono innamorato davvero.

Arlecchino. Mi, con vostra bona grazia, no ve credo una maledetta.

Lelio. Credimi che è così.

  1. Nell’ed. Bett. è sc. XI.