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326 | ATTO PRIMO |
Arlecchino. Femo1 una cossa. Quando volì dir qualche busìa...
Lelio. Asinaccio! Qualche spiritosa invenzione.
Arlecchino. Ben. Quando volì dir qualche spiritosa invenzion, feme un segno, acciò che anca mi possa segondar la spiritosa invenzion.
Lelio. Questa tua goffaggine m’incomoda infinitamente.
Arlecchino. Fe cussì2, quando volì che segonda, tirè un stranudo3.
Lelio. Ma vi vuol tanto a dir come dico io?
Arlecchino. Me confondo. No so quando abbia da parlar e quando abbia da taser.
SCENA X4.
Rosaura e Colombina mascherate, di casa, e detti.
Lelio. Osserva, Arlecchino, quelle due maschere che escono di quella casa.
Arlecchino. Semio de carneval?
Lelio. In questa città, il primo giorno della fiera5 si fanno maschere ancor di mattina.
Arlecchino. Chi mai sarale?
Lelio. Assolutamente saranno le due sorelle, colle quali ho parlato la scorsa notte.
Arlecchino. Sti mustazzi coverti l’è una brutta usanza.
Lelio. Signore, non occorre celar il volto per coprire le vostre bellezze, mentre la luce tramandata da’ vostri occhi bastantemente vi manifesta6.
Rosaura. Anco questa? (accennando Colombina
Lelio. Sono impegnato per ora a non distinguere il merito di una sorella da quello dell’altra.
Rosaura. Ma questa è la cameriera.
Arlecchino. Alto là, sior patron, questa l’è roba mia.