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324 | ATTO PRIMO |
Lelio. Che? vi paiono cose estraordinarie? Che difficoltà avete a crederlo?
Ottavio. Non è cosa tanto ordinaria che due figlie oneste e civili, mentre il loro genitore è in campagna, aprano la porta di notte1 ad uno che può passare per forestiere, e permettano che in casa loro si faccia un tripudio.
SCENA IX2.
Arlecchino e detti.
Lelio. Ecco il mio servo. Ricercatelo minutamente, se è vero quanto vi dissi.
Ottavio. (Sarebbe un gran caso che avessero commessa una simile debolezza!) (da sè
Lelio. Dimmi un poco, Arlecchino, dove sono stato la scorsa notte?
Arlecchino. A chiappar i freschi.
Lelio. Non ho parlato io sotto quel terrazzino con due signore?
Arlecchino. Gnor sì, l’è vera.
Lelio. Non ho fatta fare una serenata?
Arlecchino. Siguro, e mi ho cantà la canzonetta.
Lelio. Dopo non abbiamo fatto la cena?
Arlecchino. La cena?...
Lelio. Sì, la gran cena in casa della signora Rosaura e della signora Beatrice. (gli fa cenno che dica di sì
Arlecchino. Sior sì, dalla siora Rosaura e dalla siora Beatrice.
Lelio. Non fu magnifica quella cena?
Arlecchino. E che magnada che avemo dà!
Lelio. Sentite? Eccovi confermata ogni circostanza. (ad Ottavi)
Ottavio. Non so che ripetere: siete un uomo assai fortunato.
Lelio. Non dico per dire, ma la fortuna non è il primo motivo delle mie conquiste.
Ottavio. Ma da che derivano queste?