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322 | ATTO PRIMO |
Ottavio. Eppure non vi credo. Più volte vi ho sentito gettar de’ sospiri. Per la medicina non si sospira.
Florindo. Orsù, se non mi volete credere, non m’importa. Vi torno a dire che io non amo donna veruna, e se guardavo quella finestra, erano attratti i miei lumi dalla vaghezza del suo disegno. (guarda le finestre1, e parte
SCENA VIII.
Ottavio, poi Lelio.
Ottavio. Senz’altro è innamorato2, e non volendolo a me confidare, temo che sia la sua diletta Beatrice3. Se la scorsa notte foss’io stato alla locanda, e non l’avessi perduta miseramente al giuoco, avrei veduto Florindo, e mi sarei d’ogni dubbio chiarito; ma aprirò gli occhi, e saprò svelare la verità.
Lelio4. Che vedo! Amico Ottavio. (uscendo dalla locanda
Ottavio. Lelio mio dilettissimo.
Lelio. Voi qui?
Ottavio. Voi ritornato alla patria?
Lelio. Sì, vi giunsi nel giorno di ieri.
Ottavio. Come avete voi fatto a lasciar Napoli, dove eravate ferito da cento strali amorosi?
Lelio. Ah, veramente sono di là con troppa pena partito, avendo lasciate tante bellezze da me trafitte. Ma appena giunto in Venezia, le belle avventure che qui mi sono accadute, m’hanno fatto scordare tutte le bellezze napoletane.
Ottavio. Mi rallegro con voi. Sempre fortunato in amore.
Lelio. La fortuna qualche volta sa far giustizia, e amore non è sempre cieco.
Ottavio. Già si sa; è il vostro merito, che vi arricchisce di pellegrine conquiste.
Lelio. Ditemi, siete voi pratico di questa città?
Ottavio. Qualche poco. Sarà un anno che vi abito.