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IL TEATRO COMICO | 27 |
Orazio. Poeta? Di qual genere?
Anselmo. Poeta comico.
Vittoria. E un certo signor Lelio?
Anselmo. Giusto, è il signor Lelio.
Vittoria. È stato anche a trovar me, e subito che l’ho veduto, l’ho raffigurato per poeta.
Orazio. Per qual ragione?
Vittoria. Perchè era miserabile e allegro.
Orazio. E a questi segni l’avete raffigurato per poeta?
Vittoria. Sì, signore. I poeti a fronte delle miserie si divertono colle Muse, e stanno allegri.
Anselmo. Oh ghe n’è dei altri, che fa così.
Orazio. E quali sono?
Anselmo. I commedianti.
Vittoria. È vero, è vero; anch’essi, quando non hanno denari, vendono e impegnano per star allegri.
Anselmo. Ghe n’è de quei che i è pieni de cucchea, e i va intrepidi come paladini.
Orazio. Perdonatemi, signori miei, fate torto a voi stessi parlando così. In tutta l’arte comica vi saranno pur troppo de’ malviventi; ma di questi il mondo è pieno, e in tutte le arti qualcheduno se ne ritrova. Il comico deve essere, come tutti gli altri, onorato; deve conoscere il suo dovere, e deve essere amante dell’onore e di tutte le morali virtù.
Anselmo. El comico poi aver tutte le virtù, fora de una.
Orazio. E qual è quella virtù che non può avere?
Anselmo. L’economia.
Vittoria. Appunto come il poeta.
Orazio. Eppure, se vi è nessuno che abbia bisogno dell’economia, il recitante delle commedie dovrebbe essere quegli; perchè essendo l’arte comica soggetta a infinite peripezie, l’utile è sempre incerto, e le disgrazie succedono facilmente.
Anselmo. Sto poeta lo volemio sentir?
Orazio. Noi non ne abbiamo bisogno.
- ↑ Debiti in senso metaforico burlesco.